Roberto Gennazzini, poeta dialettale gandriese, ex municipale di Gandria
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I nòss uliv (2004, dal libro “Ritruvà i nòss radis” di Erico Besomi, pag. 15)
Nüm gandriés
regordum l’uliv
in tütt ul paés
al serviva par viv.
L’òli l so giüs
al creava calur
e l pizzava la lüs
dal pòvru e dal sciur.
Ul ramétt benedii
In ségn da pas
da sémpru cüstodii
dénta in un vas.
Incöö a sa dis
nal libru sa scriv
grazie ai radis
nöss … e da l’uliv.
Valerio Abbondio
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Dopo una passeggiata (1922, “Betulle” dal libro “Ritruvà i nòss radis” di Erico Besomi, pag. 101)
“Quanta gioia mi entrò oggi nell’anima
andando sul sentiero lungo il lago,
al sole, come in una gran carezza!
Una leggera brezza
faceva irrequiete e ondose le acque
e scintillare vivi
i pensierosi ulivi,
simili a nuvolette argentee, sparse
tra ‘l lago azzurro e il cielo quasi verde
sur uno sfondo di declivi d’oro”.
Giovanni Pascoli
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L’ulivo benedetto (fonte: internet)
Oh, i bei rami d’ulivo!
chi ne vuole?
Son benedetti,
li ha baciati il sole.
In queste foglioline tenerelle
vi sono scritte tante cose belle.
Sull’uscio, alla finestra,
accanto al letto
metteteci l’ulivo benedetto!
Come la luce e le stelle serene:
un po’ di pace ci fa tanto bene.
Gabriele D’Annunzio
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L’ulivo (fonte: internet)
Laudato sia l’ulivo nel mattino!
Una ghirlanda semplice, una bianca tunica, una preghiera armoniosa a noi son festa. Chiaro leggero è l’arbore nell’aria. E perché l’imo cor la sua bellezza ci tocchi, tu non sai, noi non sappiamo, non sa l’ulivo.
Esili foglie, magri rami, cavo tronco, distorte barbe, piccol frutto, ecco, e un nume ineffabile risplende nel suo pallore!
O sorella, comandano gli Ellèni quando piantar vuolsi l’ulivo, o côrre, che ’l facciano i fanciulli della terra vergini e mondi, imperocché la castitate sia prelata di quell’arbore palladio e assai gli noccia mano impura e tristo alito il perda.
Tu nel tuo sonno hai valicato l’acque lustrali, inceduto hai su l’asfodelo
senza piegarlo; e degna al casto ulivo ora t’appressi.
Biancovestita come la Vittoria, alto raccolta intorno al capo il crine,
premendo con piede àlacre la gleba, a lui t’appressi.
L’aura move la tunica fluente che numerosa ferve, come schiume
su l marina cui l’ulivo arride senza vederla.
Nuda le braccia come la Vittoria, sul flessibile sandalo ti levi a giugnere il men folto ramoscello per la ghirlanda.
Tenue serto a noi, di poca fronda, è bastevole: tal che d’alcun peso
non gravi i bei pensieri mattutini e d’alcuna ombra.
O dolce Luce, gioventù dell’aria, giustizia incorruttibile, divina nudità delle cose, o Animatrice, in noi discendi!
Tocca l’anima nostra come tocchi il casto ulivo in tutte le sue foglie;
e non sia parte in lei che tu non veda,
Onniveggente!
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L’olio (fonte: internet)
Olio con sapiente arte spremuto
Dal puro frutto degli annosi olivi,
Che cantan -pace! -in lor linguaggio muto
Degli umbri colli pei solenti clivi,
Chiaro assai più liquido cristallo,
Fragrante quale oriental unguento,
Puro come la fè che nel metallo
Concavo t’arde sull’altar d’argento,
Le tue rare virtù non furo ignote
Alle mense d’Orazio e di Varrone
Che non sdegnàr cantarti in loro note…
Giandomenico Borelli (socio onorario Associazione Amici dell’Olivo)
Poesie estratte dal libro “L’albero della passione”, maggio 2011, Cattaneo Paolo Grafiche s.r.l.
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Albero maestro
Quell’albero immortale a cui nessuno è uguale,
è come la tua vita: lezione mai finita!
Più scelte hai sulla via e tua la scelta sia;
di rami tu ne hai tanti, ma bada ai più importanti!
Tra i rami vigorosi, quei pochi e assai preziosi
van sempre conservati e fino alla morte ornati;
son come le sue branche, che non vedrai mai stanche.
Tra gli altri esili rami, dai spazio a ciò che ami.
Impara anche a giocare, non solo a lavorare:
non essere egoista, ma taglia e sii ottimista!
Se riuscirai a potare, a ben selezionare,
vedrai tu un bel giorno i suoi frutti d’intorno.
Poi li raccoglierai, di loro assai godrai,
non solo un istante, ma un anno importante.
Che tu abbia riguardo e non fare in ritardo
ciò che puoi fare ora: cogli e lavora!
Non puoi rovinare quel succo da amare,
che sera e mattina è per te medicina.
Così la menzione sarà la lezione
che già imparerai … se con lui tu vivrai.
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Autunno d’olive
Quando mi potasti! non era ancor primavera.
Le parche fronde mi sfoltisti …
ricordo ancora il freddo di sera.
Poi, senza posa e a piene mani, prìa del fiore,
tu mi concimasti …
e in un sorriso vidi tutto l’amore!
D’estate poi fu tempo caldo ed arido,
ma tu ti ricordasti ancora …
e l’acqua mi portasti impavido.
Quando l’agosto toglieva il respiro,
via i rami di mezzo …
ed ancor l’acqua in giro.
Oggi, che l’autunno il mondo colora,
il tuo albero preferito
la tua fedeltà onora.
Cogli dunque a piene mani le mie olive,
quanto più presto farai:
portale al frantoio ancor vive!
Così, dal frutto, il succo sarà sulla tua mensa
quell’olio salutare,
che per un anno intero la vita ti dispensa.
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Il vaso armonico è policonico
Prima di tutto, scegli le branche!
Tre, quattro al massimo: son le sue anche.
Poi su di esse delinea una cima,
ramo apicale principale: guarda che rima!
Evita quindi le dicotomìe!
non salga la linfa seguendo più vie,
ma sia una sola la principale
e sottomesso sia il ram laterale,
con un diametro alquanto minore
rispetto alla branca, ramo maggiore.
Così facendo la basitonìa
ti apparirà lungo la via
e vedrai crescer più lunghi e più grandi
i rami basali senza comandi.
Se poi sfoltirai le cime in eterno,
togliendo i succhioni verso l’interno,
il risultato sarà alquanto armonico,
eccolo là: è il tuo vaso policonico!
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In primavera lo devi fare
Amore, se mi vuoi spogliare,
in primavera lo devi fare,
perché d’autunno, già col mio frutto,
di quanto possiedo io ti do tutto.
Ed anche in quella calura estiva
non mi spogliare se mi vuoi viva,
perché l’inverno ormai s’avvicina
ed ho pochi mesi per far la vestina.
So che mi spogli per il mio bene,
così respiro e mi levo le pene,
però ricorda, se mi vuoi bella:
amo la luce ma non solo quella!
Per il mio frutto non esagerare:
non sempre tanto mi devi potare;
lasciami anche vestita di foglie,
così potrò calmarti le voglie.
Sai, le mie drupe son golose
ed han bisogno di dolci cose,
per diventar sempre più belle,
turgide e sane come alborelle.
Tu sai quei dolci da dove vengono:
da quelle foglie che dai rami pendono.
Perciò ti prego, frena la mano,
così il mio sforzo non sarà vano.
I giorni poi saranno maturi
per ripagare i tempi duri,
così il mio succo ti regalerò,
e nel tuo corpo io resterò.